UNA STRANA SENTENZA


L'Accusa: L'imputato è reo di aver ritrattato sulla pubblica utilità della condivisione sociale, per tanto, che sia condannato a rendere pubblico ciò che egli tiene nascosto nella sua mente.

Il Giudice: Ci renda partecipi del suo pensiero, divulghi all'assise quanto nelle sue conoscenze.

La Difesa: Signor Giudice il mio assistito non sa niente, è reo confesso solo di pensare.

L'Accusa: Orbene allora parli, dica, illustri, condivida, cosicché la giuria qui presente valuti, a loro gusto, e se può poi mormori sommessamente il proprio gradimento!

Il Giudice: Son io qui la legge! Pertanto decido e dispongo che l'imputato s'alzi in piedi e parli.

L'Imputato:...ma io...insomma...non ho molto da dire a lor illustrissimi Signori che di parole ne hanno molte, io mestamente m'ero pensato di voler condividere un momento, senza dir nulla, solo due immagini che particolarmente m'hanno toccato l'anima ed il cuore. Poi dentro a me ho pensato che questo mondo...mannaggia se ora ci ripenso, questo mondo non paga la mia emozione ed è per questo che ho taciuto, se colpa non fosse per quel sibilo che...lo giuro fuor di me involonario e senza controllo uscì.

L'Accusa: Allora confessa d'aver detto e poi non detto....

L'imputato:Ma io....a dir...

L'Accusa:Confessi spergiuro...

La Difesa: Sigor Giudice questo è accanimento...

Il Giudice: Mi dica ma la la sua emozione perché ha omesso e taciuto nella sua pubblica divulgazione.

L'Accusa: Lo dica, risponda per Dio.

L'Imputato: Preferisco viverla.

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