IL GIORNO NON GIORNO

«Le onde placide del mare senza orizzonte biancheggiano e avviluppano il mio scheletro. Le carni decadenti, la pelle oramai sacco grinzoso d'un'epoca turgida s'offrono di cibo mortale ad esseri subacquei. Il sole filtra dalle nubi meschine ed ingannatrici, bruciando il cerebro epigeo. 

L'occhi infossati e spenti tentano di leggere quel che resta d'una barca distrutta la cui tavola di salvezza riporta scalfito sul suo legno bastardo il nome che glorioso solcava altri mari.
È un ricordo lontano quando al suo varo qualcuno gridò: Evviva! Eccola. Sen va quella nave maestra e maestosa il cui nome è DIGNITÀ.

Tutti su quel vascello fummo felici finché Superbia, Arroganza, Viltà, Supponenza, Avarizia, Ignavia, Accidia al soldo del loro capo Invidia, non ammutinarono e tutti noi, liberi uomini, fummo persi prigionieri d'un muto obbligo. Offese, ingiurie, pubblici ludibri al lavoro dell'uomo, travi maestre usate per banchetti, sollazzi e piaceri ad obblighi di taluni per esser servitori di mense luculliane e non gradite per dispetto, fatiche disgustate dalla vanità distruttrice e sadica, per piacer del dispregiato superuomo filosofico e dopo tutto questo, quel gioiello unico e meraviglioso per la furia e la mano dello stesso uomo che ne fu creatore ora ne resta che un bastardo brandello di salvezza al quale mi appiglio. 

Le forze svaniscono, lasciando a lui l'ombra del mio e ad altre spiagge l'operosa mano d'un nuovo vascello»

Commenti