La rabbia - impara dal gatto.


Ho scoperto solo adesso nel cammino del mio quarantaduesimo meridiano una cosa dentro di me che mi ha fatto stare male, male sul serio, male nello stomaco, nel cuore, in ogni muscolo del mio anatomico sistema fisico. 

La chiamano “rabbia”, il frutto di un dolore intimo e profondo.

Ho scoperto, solo fermandomi un momento a riflettere, che avevo percorso parte del mio cammino senza rendermi conto di averlo fatto, perché questa “rabbia” mi aveva accecato ogni senso e presenza di me.

Ho guardato indietro e ho visto che a causa della cosiddetta “rabbia” ha parlato la voce dell’odio a cui non avevo mai dato voce perché non ne conoscevo il timbro, il colore e la sua pericolosità.
Ho guardato dentro di me e ho visto che avevo una ferita aperta che disperdeva energia della mia essenza vitale e mi ammalavo a causa di quella ferita.
…mi si è strusciato sulla gamba un gatto… poi poco distante si lecca una ferita, mentre più in là il suo avversario si allontana.
Ho imparato, ad osservare le mie ferite. 
Ho imparato che la “rabbia” è la sirena di un’autoambulanza che richiama l’attenzione su di me e ti grida:” ehi qui c’è bisogno di te quaggiù…devi curare questo squarcio!” 

Ho imparato che l’odio è la voce più forte che ti distrae dal tuo vero dovere cioè quello di curare te stesso, mentre invece, ti porta ancora alla lotta senza senso, senza una ragione. 

Ho imparato che la “rabbia” si lenisce con l’attenzione verso l’intimo essere di sé, per poi essere disponibili e amorevoli verso gli altri.

Ho iniziato a fare come il gatto mentre il tutto attorno si allontana. Non accenno ad altri attacchi. In me cerco pace e amore. 

Ora le ferite stanno diventando cicatrici. Le accarezzo con orgoglio perché sono i segni del mio vissuto, sono e saranno la mia storia, il passato che edifica il mio presente.

Osservo i gatti. Si riavvicinano. Si annusano. Abbandonano l’odore dell’orgoglio ed esaltano l’amore.

Ho imparato che non smetterò mai di abbracciare.













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