L'occhi infossati e spenti tentano di leggere quel che resta d'una barca distrutta la cui tavola di salvezza riporta scalfito sul suo legno bastardo il nome che glorioso solcava altri mari.
È un ricordo lontano quando al suo varo qualcuno gridò: Evviva! Eccola. Sen va quella nave maestra e maestosa il cui nome è DIGNITÀ.
Tutti su quel vascello fummo felici finché Superbia, Arroganza, Viltà, Supponenza, Avarizia, Ignavia, Accidia al soldo del loro capo Invidia, non ammutinarono e tutti noi, liberi uomini, fummo persi prigionieri d'un muto obbligo. Offese, ingiurie, pubblici ludibri al lavoro dell'uomo, travi maestre usate per banchetti, sollazzi e piaceri ad obblighi di taluni per esser servitori di mense luculliane e non gradite per dispetto, fatiche disgustate dalla vanità distruttrice e sadica, per piacer del dispregiato superuomo filosofico e dopo tutto questo, quel gioiello unico e meraviglioso per la furia e la mano dello stesso uomo che ne fu creatore ora ne resta che un bastardo brandello di salvezza al quale mi appiglio.
Le forze svaniscono, lasciando a lui l'ombra del mio e ad altre spiagge l'operosa mano d'un nuovo vascello»
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